Il 9 novembre scorso, due giorni prima degli attentati di matrice jihadista che hanno sconvolto il cuore di Parigi, il Consiglio Giustizia e affari interni si è riunito per discutere gli ultimi aggiornamenti in merito ai flussi migratori e alla situazione dell’attuazione delle misure più recenti decise dall’Unione europea. È lecito tuttavia pensare che quanto sta accadendo a Parigi segnerà una battuta d’arresto nelle politiche di ricollocazione e di accoglienza degli Stati membri anche perché la Francia ha immediatamente provveduto alla chiusura delle sue frontiere.
Nelle Conclusioni del Consiglio GAI al contrario, la fruizione dell’area Schengen era stata trattata come un’opera da tutelare, oltre ad aver dichiarato l’esigenza di ridurre le pressioni migratori e di implementare il più possibile l’acquis. Le conclusioni si sono infatti concentrate anche sull’accelerazione del processo di ricollocazione in corso, sul rafforzamento delle frontiere esterne dell'UE, sulla lotta contro la tratta e il traffico di esseri umani, sul rimpatrio e la riammissione. Nelle conclusioni, inoltre, il Consiglio ha espresso il proprio sostegno alla decisione della presidenza di potenziare la risposta politica integrata alle crisi, portandola dalla modalità di condivisione delle informazioni a quella di piena attivazione.
1.Il Consiglio ha deciso di aumentare gli sforzi finanziari a sostegno dell’UNCHR da un lato, e dei paesi più sovraccaricati dai flussi dall’altro, oltre ad aver ribadito che la creazione dei c.d. “punti di contatto” in Italia e Grecia (hotspots) debba essere velocizzata per permettere agli Stati membri partecipanti (su base volontaria) di comunicare le proprie capacità di ricollocazione entro il 16 novembre. Infatti, è stato richiesto ai due paesi beneficiari del meccanismo messo in piedi dalla decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre scorso di fornire il prima possibile un piano contenete le misure che sono intenzionati a prendere per la ricollocazione. I punti di contatto devono necessariamente coinvolgere le agenzie dell’Unione, da Frontex all’EASO, ad Eurodac.
1.1 Il Consiglio ha parlato anche delle possibilità di rimpatrio che gli Stati membri hanno e che devono utilizzare ai sensi della direttiva 2008/115/CE.
1.2 Un ulteriore elemento di discussione è stato poi il sistema di asilo alla luce delle difficoltà o delle reticenze che si incontrano dinanzi ai migranti: gli Stati, anche in questo caso utilizzando le misure previste dal c.d. “pacchetto asilo”, contenente le direttive “accoglienza”, “qualifiche”, “procedure” e nel regolamento Dublino III, hanno la possibilità di provvedere: a) a che le procedure di asilo siano eseguite anche nelle zone di confine; b) alla velocizzazione delle procedure previste; c) al veloce rifiuto delle domande di asilo evidentemente inammissibili; d) alle misure coercitive, inclusa la detenzione (seppur come ultima possibilità) per il periodo necessario all’espletamento delle domande e delle procedure. A tal fine il Consiglio ha invitato la Commissione a collaborare con Frontex per la definizione di linee guida ulteriori rispetto a quelle già esistenti con lo scopo di facilitare la messa in pratica del regolamento 604/2013 sui meccanismi per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale.
2. Per quanto riguarda le frontiere esterne, è soprattutto verso il loro rafforzamento che il Consiglio GAI si è pronunciato: oltre all’assistenza umanitaria ai paesi dei Balcani Occidentali, gli Stati membri devono rispettare i propri obblighi in materia di attraversamento, sia nell’ingresso che nell’uscita, che può significare anche dover dispiegare le squadre di intervento rapido, le c.d. RABITs. Inoltre, è stato richiesto pieno supporto per l’operazione congiunta “Poseidon” che dal 1° dicembre 2015 sarà estesa anche alla Grecia. Infine, il Consiglio ha sollecitato un’analisi sull’area Schengen e sulla reintroduzione dei controlli alle frontiere su cui dibattere al prossimo Consiglio GAI di dicembre, in vista dell’ottavo report della Commissione proprio sul funzionamento dell’area senza barriere interne per il periodo maggio-ottobre 2015.
3.Un ulteriore settore che ha riguardato le Conclusioni del Consiglio GAI è quello della lotta contro la tratta di esseri umani (definita dalla Corte EDU una moderna forma di schiavitù), strettamente correlata al fenomeno dell’immigrazione irregolare. Anche in questo caso i Ministri hanno chiesto agli Stati di utilizzare, oltre alle previsioni normative interne, anche gli strumenti europei che si concretizzano nelle direttive 2004/81/CE e 2011/36/UE così come previsto dal Piano d’azione contro il contrabbando delle persone per il periodo 2015-2020, oltre ad intensificare i controlli, le investigazioni e il perseguimento dei criminali.
4. Come strumento della strategia globale sulle migrazioni e l’asilo, anche il partenariato con i paesi terzi è stato al centro dei dibattiti, con particolare attenzione allo sviluppo e al miglioramento dei rapporti multilaterali e bilaterali tra Stati membri e paesi terzi come l’Afghanistan, il Marocco, la Nigeria, il Pakistan, la Tunisia, la Turchia, l’Etiopia e la Serbia nel processo dei rimpatri e delle riammissioni, elementi su cui l’Unione fonda la sua lotta all’immigrazione irregolare. Proprio in questo settore, il Consiglio ha richiesto che vengano definiti con urgenza strategie che abbiano lo scopo di scoraggiare i “viaggi della speranza”, che sono il mezzo di finanziamento dei trafficanti, tramite l’informazione sul controllo delle frontiere esterne, sulla posizione giuridica degli immigrati irregolari e dei richiedenti asilo, includendo indicazioni sulla ricollocazione, il rimpatrio, l’allontanamento e il perseguimento dei reati. Questo deve servire a spiegare agli immigrati il cui ingresso e soggiorno sono irregolari che essi devono fornire indicazioni sulla loro identità nello Stato in cui arrivano ma deve servire anche a ribadire, da un lato, che coloro i quali richiedono una protezione internazionale non hanno la facoltà di scegliere lo Stato ospitante e, dall’altro, coloro che non sono in evidente bisogno di protezione saranno rimpatriati.
L’11 e il 12 novembre si è tenuto nella capitale maltese un vertice internazionale sull’immigrazione a cui hanno preso parte gli Stati membri dell’Unione, alcuni paesi africani, insieme a diverse organizzazioni regionali tra cui l’Unione africana, l’Alto commissariato per l’Onu dei rifugiati e la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Ecowas). Il vertice era stato richiesto dal Consiglio europeo di giugno anche alla luce delle reiterate tragedie nel Mar Mediterraneo durante l’anno. Gli Stati europei si sono detti pronti a finanziare i paesi africani in cambio di procedure più rapide per il rimpatrio degli immigranti irregolari, arrivati in Europa negli ultimi mesi. Tuttavia alcuni Stati africani sono riluttanti ad accettare questo tipo di accordo, in quanto le rimesse dei connazionali all’estero sono un fattore estremamente importate dello sviluppo e della ricchezza di molti di essi.
I punti all’ordine del giorno sono stati: affrontare le cause profonde della crisi migratoria per contribuire alla creazione di pace, stabilità e sviluppo economico; migliorare il lavoro di promozione e organizzazione di canali di migrazione legale; rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; contrastare in maniera più efficace lo sfruttamento e il traffico di migranti; collaborare più strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatri e riammissioni. Questi punti non sono stati troppo diversi da quanto contenuto nelle Conclusioni del Consiglio GAI, soprattutto in merito agli aiuti ai paesi africani da parte dell’Unione, che dovranno essere però seguiti da un serio impegno di questi paesi nella lotta alla tratta di esseri umani, nei rimpatri, nell’indagine sulle cause delle migrazioni e sulle misure per contenere il fenomeno. Ma anche l’Unione dovrà fare la sua parte attraverso la garanzia di canali legali di ingressi da potersi realizzare attraverso l’istituzione di procedimenti per ottenere asilo nei campi profughi che si trovano lungo le rotte migratorie, e l’utilizzo di missioni diplomatiche per risolvere i conflitti in Libia, nel Sahel, nel lago Ciad e nel Corno d’Africa.
Al summit di Malta i leader dei 60 paesi partecipanti hanno infine raggiunto un accordo unanime su una dichiarazione politica ed un piano d'azione sui migranti. I problemi sono sorti con riguardo ad alcuni Paesi africani, che ritengono troppo esiguo il contributo comunitario, e il blocco oltranzista dell’est europeo, che continua a dirsi contrario alla ridistribuzione dei rifugiati.
L‘UE e l'Etiopia, hanno firmato a Malta un accordo per controllare l'immigrazione clandestina e per contrastare il traffico di esseri umani. In base all'accordo, il governo di Addis Abeba avrà accesso ad un fondo fiduciario per la gestione della migrazione. L'Etiopia, oltre ad essere infatti uno dei principali punti di passaggio dei flussi di persone dall'Africa all'Europa, dà ospitalità ad almeno 700.000 rifugiati provenienti da altri Paesi africani.
Il vertice di La Valletta e le soluzioni prospettate e auspicate fanno parte del GAMM, l’approccio globale in materia di migrazione e mobilità che è la cornice per sviluppare relazioni con i paesi terzi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio (due esempi di cooperazione regionale ricondotti nel GAMM sono i Processi di Rabat e Khartoum).
Infine, per quanto riguarda il finanziamento, il bilancio della cooperazione esterna dell’Unione per il periodo 2014-2020 è di 96,8 miliardi e 344 milioni di euro destinati alla migrazione.
Luisa Di Fabio